UN CONCERTO D’AMORE ROSSONERO, SCUDETTO AL MILAN DEL GENTLEMAN PIOLI

Il Milan è musica, un concerto d’amore. Oddio, tanto diverso il meeting musicale di Reggio Emilia dalla notte trentina di Vasco Rossi, ma musica è, celestiale, romantica, questa ch’è andata a scegliersi una canzonetta del nonno per esaltare la gioventù rossonera: proprio come il 5 febbraio dopo la vittoria nel derby di San Siro con due gol di Giroud, il popolo dei casciavit in trasferta a Reggio Emilia ha cantato “Parlami d’amore Girù/tutta la mia vita sei tu”. Il campione francese – salutato con incertezza al suo arrivo a Milano – ha fatto un bis pavarottiano, come fosse alla Scala, e il suo volto di guerriero provato da mille battaglie si è sciolto in un sorriso bambino. La forza magica del gol.
Gli scudetti, soprattutto quelli vinti dopo lunga dolorosa attesa – l’ultimo del Milan 2011, Berlusconi patron, tecnico Allegri – chiedono, anzi pretendono squilli di tromba, marce trionfali, ricorsi eroici (ricordo il tricolore della stella e Rivera che arringava folle turbolente) mentre al Mapei Stadium della Reggio Emilia grintosa – erede del glorioso Mirabello – si è consumata una festa di baci abbracci al via di Pioli.
Il prudente, serenissimo gentleman mai fuori delle righe che non ha atteso il fischio finale per prendersi lo scudetto subito regalato al popolo dei discamisados e via via, uno alla volta, ai suoi splendidi ragazzi che avevano da poco accolto Zio Ibra mentre Girù raggiante andava a cogliere un’ovazione. Niente smargiassate, secondo una tradizione secolare che mi ha fatto vedere centinaia di volte i rossoneri schierati a centrocampo, a fine partita, per un affettuoso saluto ai sostenitori e ai rivali. Era successo una sola volta che Pioli s’era mostrato felice, dopo l’Inter-Milan di quel 5 febbraio: si era messo a correre come un ragazzo al suo primo applauso. “La corsa sul gol? – aveva detto – Era troppa la felicità per la vittoria, in una partita difficile, combattuta. I ragazzi hanno giocato con grande coraggio e generosità, vincere e ribaltare una partita così in un momento non facile mi rende molto orgoglioso. Una squadra che non molla mai…”. Come lui, che ha cominciato la ricostruzione di un Milan ferito dalle chiacchiere dei sostenitori di Giampaolo e di Rangnick proprio alla fine del lockdown, quando gli altri erano incerti se arrendersi o combattere la pandemia. La memoria mi dice che ci volle anche allora un Sassuolo sconfitto con una doppietta di Ibra per cambiare il mondo.
Sorprendendo gli esteti guardioleschi Gazidis disse sì, resta Pioli, alla faccia di quella manita rimediata a Bergamo. E iersera, proprio come allora, fu Saelemaekers il primo ad abbracciare Pioli quando in campo arrivarono poche parole dette in tribuna da Paolo Maldini – l’altro vincitore dello scudetto, rafforzato dall’addio del “riformista” Boban – “Sì, Stefano resta con noi”. Nel mio diario ho mille appunti sul travaglio rossonero giunto all’apice con l’addio di Donnarumma. Doveva essere la fine non di un sogno ma di un’avventata speranziella, è stato il segnale di una rivoluzione aziendale. Adesso che si parla di un passaggio dal fondo Elliott al fondo RedBird, significativo riconoscimento di una operazione finanziaria riuscita, voglio dedicare un appunto a due personaggi che hanno partecipato all’incredibile festa di Reggio: uno dall’alto dei cieli, Giorgio Squinzi, creatore del Sassuolo e milanista storico; uno in presenza, Paolo Scaroni, supermanager dotato non solo delle virtù che lo portarono ai vertici dell’Enel e dell’Eni ma di una grande competenza che gli permise più di trent’anni fa di farsi presidente del Vicenza nella veste, originale per quei tempi, di abile ristrutturatore di club. Cominciò col Vicenza e il Panathinaikos, oggi fa parte del Nuovo Milan, il primo club che ci offrì l’Europa, sessant’anni fa.
(ITALPRESS).

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