Turismo “sociale” scelta giusta per il post covid al Sud

di Marco Imperiale, Direttore Fondazione Con il Sud

Fare impresa sociale al Sud, soprattutto in questa fase, ha un valore aggiunto. La scelta imprenditoriale infatti è preceduta e accompagnata da un’esigenza sociale, così come il perseguimento del bene individuale, del profitto – legittimo – dell’imprenditore, cede il passo al bene del gruppo e all’interesse generale che, in quanto organizzazioni di Terzo settore, riguarda la comunità. Ogni impresa ha o dovrebbe avere un legame, più o meno forte, col proprio territorio. Per l’impresa sociale il legame è alla base della sua stessa azione. Questa premessa è funzionale a comprendere meglio la situazione attuale che caratterizza il “fare impresa” sociale al Sud. Il 50% delle imprese sociali italiane si trova proprio nelle regioni meridionali. Il legame con la comunità, il “fare insieme”, il provocare la “partecipazione”, che sono le premesse del Terzo settore, rappresentano in questo momento un fattore critico per tutte le organizzazioni comprese le imprese sociali. Particolarmente per chi opera nell’ambito del turismo, un settore che, come sappiamo, è messo a dura prova dalla crisi innescata dall’emergenza sanitaria, dalla fase di incertezza e dalle prospettive non proprio rosee. Ma l’obiettivo di comunità e l’esigenza di coesione sociale, da “criticità” possono rappresentare, al contrario, una risorsa e un’alternativa nel ripensare l’offerta turistica. L’importanza dei legami sociali e il valore della solidarietà che ritroviamo in tante esperienze di impresa sociale in ambito turistico sostenute dalla Fondazione Con il Sud (dai “tour sospesi” all’accoglienza diffusa e responsabile) dimostrano che la proposta turistica di comunità può avere una marcia in più.
Fare turismo al Sud nella forma di impresa sociale vuol dire proprio questo, vuol dire proporre non solo un servizio o una esperienza di turismo culturale, ambientale, sostenibile, etico, eccetera, ma condividere una visione e un processo, solidaristico e partecipativo, di godimento del territorio che rappresenta una specificità. Naturalmente, è vedere il bicchiere mezzo pieno perché le difficoltà sono tante, ma è necessario partire da qui e porsi con ottimismo e fiducia verso il futuro così come fanno già le organizzazioni di Terzo settore. Se ci fosse più attenzione a esplorare, capire e comprendere meglio queste esperienze si potrebbe intravedere nella loro autenticità una leva per ripensare alcune forme di turismo post Covid al Sud. La gente, messa a dura prova dal lockdown, ha voglia di socialità e di riscoprire i legami comunitari. Il turismo sociale, oltre a offrire la “bellezza” di un territorio e di una comunità è capace di condividerne anche l’anima. Altro aspetto non secondario è l’esigenza di vivere un’esperienza turistica in sicurezza. Assistiamo a comportamenti “devianti” rispetto alle regole del distanziamento sociale che creano molto disorientamento, anche per le proposte turistiche. Il turismo sociale ha come obiettivo implicito quello di diffondere e mettere in pratica il concetto di responsabilità individuale e collettiva. Detto tutto ciò, è davvero un peccato che da settimane si senta discutere molto di turismo e di Sud ma poco o per niente di questo turismo, nonostante il suo valore sociale e il suo potenziale economico.
(ITALPRESS).

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