Su Rai1 il maxiprocesso con gli occhi di un giudice popolare

Il maxiprocesso come non lo abbiamo mai visto. Perché questa volta Rai1, domani in prima serata, ce lo mostra attraverso gli occhi di un giudice popolare. O, meglio, di “una” giudice popolare, una delle poche che accettò l’incarico visto che, dei 50 cittadini invitati a comparire in tribunale per il primo e più grande processo alla mafia, ben 37 non si presentarono e altri lo fecero ma con un certificato medico. Tra coloro che accettarono l’incarico c’erano tre donne: Maddalena Cucchiara, Francesca Vitale e Teresa Cerniglia. A loro (che vedremo in spezzoni di interviste) è ispirata la figura di Caterina, protagonista di “Io, una giudice popolare” e interpretata da Donatella Finocchiaro, che vede la sua vita stravolta dal momento in cui accetta di partecipare al maxiprocesso. Accanto a lei, nel cast della docufiction (firmata da Francesco Miccichè e prodotta da Stand by me e Rai Fiction) ci sono, tra gli altri, Nino Frassica e Francesco Foti. L’allora presidente della Corte, Alfonso Giordano, ricorda: “Ho già precisato come la collaborazione dei giudici popolari, la loro personalità e il loro apporto, potessero costituire un grosso problema per me fin dal primo momento, giacché erano certamente un’incognita che in un processo come quello che il destino ci aveva consegnato, poteva essere determinante al fine di un verdetto giusto anche severo. Fummo certamente aiutati dalla sorte, perché tutti e sei i giudici popolari dimostrarono d’essere onesti, corretti, veramente esemplari”. Con lui il Pm Giuseppe Ayala, che ancora ricorda “l’inquietudine che condizionò il mio stato d’animo durante l’udienza destinata al sorteggio dei giudici popolari destinati a comporre la Corte d’assise, chiamata a gestire quell’enorme processo”. La sua inquietudine, tuttavia, durò poco: “A fine udienza i sei giudici popolari avevano un nome e un cognome. Tre dei sei giudici erano donne. Le loro vite, al pari di quelle dei colleghi uomini, furono asservite al dovere per quasi due anni. L’impegno era a tempo pieno. La vita delle loro famiglie fu stravolta nell’ordinaria quotidianità. Per non dire delle pesanti limitazioni alla libertà imposte dalla scorta”.
Al maxiprocesso Pietro Grassi era giudice a latere. Oggi ricorda: “Noi giudici e il Paese intero fummo davvero fortunati, perché il contributo dialettico, culturale e leale dei giudici popolari fu straordinario. Si rivelarono cittadini esemplari, servitori dello Stato, veri interpreti e rappresentanti del giudizio in nome del popolo italiano. Tra di loro tre docenti, un’ostetrica, un funzionario di banca ed un impiegato di pubblico ufficio, persone che non avevano, al contrario nostro, scelto un impegno professionale per cui il rapporto con la mafia era nel conto, ma si trovarono a svolgere un ruolo delicato, importante e rischioso, e seppero rispondere alla chiamata dello Stato e della Legge. Tutti dobbiamo essergliene riconoscenti”. La docufiction racconta tutto questo grazie anche alle interpretazioni dei protagonisti ma, anche, a un eccezionale materiale di repertorio che comprende interviste ai protagonisti dell’epoca, filmati, foto e titoli di giornali. La protagonista, Donatella Finocchiaro, sottolinea come “Caterina si trova davanti ai mafiosi nelle gabbie ma, come gli altri giudici popolari, ha accettato la sua responsabilità e diventa una piccola eroina”. L’attrice non nasconde l’emozione di essere entrata per le riprese nell’aula che ha ospitato il maxiprocesso: “C’ero già stata nel 2009 quando ho portato in scena l’opera teatrale di Claudio Fava e Ninni Bruschetta ‘L’istruttoria – Atti del processo in morte di Pippo Fava’ – dice – È il luogo dove abbiamo visto il male”. Nei panni di Alfonso Giordano c’è Nino Frassica che lo definisce “una persona umana e umile, un gran signore come quelli di una volta”. L’emozione dell’aula bunker è stata la stessa anche per lui: “Ci immaginavamo di avere di fronte alcuni di quegli animali che riempivano le gabbie”. “Io, una giudice popolare” appare come un fiore all’occhiello per Rai Fiction. La direttrice Maria Pia Ammirati spiega: “Ricordare e documentare eventi e persone, che fanno parte della storia della Repubblica e costituiscono snodi della democrazia, del vivere civile e del senso di responsabilità, sono un dovere del Servizio Pubblico. Il ruolo del servizio pubblico è anche questo: non arretrare nell’impegno e non lasciare spazio alla rimozione della memoria”. (ITALPRESS).

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