PIOLI E IL SUO MILAN DA STANDING OVATION, MA IL CLUB HA SCELTO RANGNICK

Quelli che il calcio non lo guardano, non lo amano, non lo capiscono ne parlano però costantemente. Perchè – parliamoci chiaro, senza infingimenti – il calcio è una delle poche materie vive in grado di offrire spunti anche maliziosi alle conversazioni afflitte dai bollettini della protezione civile. E’ sopravvissuto al coronavirus, al ministro dello sport, ai neghittosi che volevano fare una lunga vacanza come se fossero impiegati delle istituzioni. Ha beffato i tremendisti che s’immaginavano caduti sui campi verdi e i furbastri che temevano di retrocedere non avendo lavorato anche col pensiero prima e durante il lockdown. Li guidava – poi si è ritirato – l’energico Cellino quando ha capito che il Brescia era già retrocesso a Natale. Adesso gli incompetenti allarmisti paventano contagi a Barcellona (sarà semmai il Napoli a studiare il modo di evitare una ripetizione di Valencia-Atalanta con coda tragica) o si lamentano dell’andamento barbanoioso delle partite, o ancora si ergono a difensori dei diritti dei tifosi calpestati dalle porte chiuse.
E da questo dettaglio prendo lo spunto per dire cosa ho pensato l’altra sera quando a San Siro il Milan prendeva a calci il Bologna mentre sugli spalti fiammeggiavano i colori sociali a imitazione del popolo rossonero. Quel popolo – mi sono detto – che se fosse stato presente in carne e ossa avrebbe dedicato a Stefano Pioli una standing ovation. Al Pioli ridicolizzato dalla società (finanziaria) che ha già ingaggiato tale Rangnick, vincitore di qualche coppetta dopo aver occupato quattordici panchine tedesche, neanche fosse Sarri che non in Italia, ma almeno in Inghilterra, s’è illustrato a dovere. E infatti vien da pensare che la Finanziaria Rossonera lo sogni vincitore costì, dove notoriamente il calcio è una passeggiata. Per la Juventus. Standing ovation per Pioli non per Ibrahimovic, come vorrebbe certa critica imbarazzata: Zlatan di suo ci ha messo nome, cognome, diminuitivo e prestanza storica. Il resto lo hanno fatto quei ragazzi che – con Çalhanoglu e Rebic – hanno confermato a suon di gol il trionfo del Milan post lockdown. Un Milan di cui più nessuno parlava se non per compatirlo.
E allora quel gruppetto di ventenni capeggiati da Donnarumma – dico di Hernandez, Calabria, Bennacer, Saelemaerks, Colombo, Leao (il ventunenne audacemente mandato a sostituire Ibra) – sogna di continuare a lavorare con Pioli che non li ha messi a nanna dopo il tampone.
Questa è la novità del campionato che non piace alla gente che non piace: c’è chi, in attesa della Liberazione, ha lavorato seriamente e ci sta offrendo i risultati della serietà, non delle chiacchiere care agli opinionisti allo sbaraglio. Ho detto di Pioli, aggiungo Gasperini con quell’Atalanta gagliarda tuttavia fermata solo da quello Juric che ha galvanizzato il Verona; e De Zerbi (lo seguo curioso dai tempi del Benevento) che studiando calcio ha creato il Sassuolo macchina da guerra.
Italo Cucci ([email protected])
(ITALPRESS).

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