Lavorare con ritenuta d’acconto

Hai mai sentito parlare della possibilità di lavorare con ritenuta d’acconto, ma non hai ben compreso che cosa possa significare?

Si tratta semplicemente di una modalità di regolare i compensi della propria prestazione di lavoro se non hai una busta paga (e dunque non sei un dipendente) o non hai una partita Iva. Dunque, è una delle modalità più diffuse con cui viene pagato chi non ha un lavoro fisso, bensì svolge lavori saltuari e desidera in questo modo semplice e pratico disciplinare le modalità con cui il proprio datore di lavoro / committente effettua il effettua il pagamento, trattenendo un anticipo delle imposte.

In sintesi, con la ritenuta d’acconto quel che avviene è che il lavoratore riceve il compenso al netto di una parte, la quale rappresenta un acconto sull’Irpef che verrà poi versata allo Stato.

Ma che cosa significa lavorare con ritenuta d’acconto?

Come funziona lavorare in ritenuta d’acconto

Andiamo con ordine. Se vieni chiamato per una prestazione occasionale e non hai partita Iva, quel che devi fare è consegnare al tuo committente una ricevuta che riporta il compenso da cui scalare la percentuale di ritenuta d’acconto.

Se per esempio la tua prestazione è remunerata 1.000 euro e la ritenuta d’acconto è del 20%, quel che riceverai dal tuo datore di lavoro saranno 800 euro (1.000 euro – 20% di r.a.). I 200 euro di differenza sono la ritenuta d’acconto sull’Irpef, che costituisce dunque un anticipo dell’Irpef da pagare sull’esercizio.

Ma cosa succede subito dopo?

È semplice. Il committente ti pagherà la ricevuta al netto della ritenuta, e verserà l’importo della ritenuta stessa allo Stato per conto tuo, entro il giorno 16 del mese successivo, attraverso modello F24.

Al momento della dichiarazione dei redditi, pagherà solamente l’eccesso delle imposte oltre al 20% che ti è già stato trattenuto. Se invece il 20% è eccessivo, perché non devi pagare altre imposte o le hai pagate già in misura eccedente, allora potrà chiedere la restituzione, in tutto o in parte, dell’acconto stesso.

Quando si lavora in ritenuta d’acconto

Come abbiamo già avuto modo di precisare nelle righe di cui sopra, chi lavora in ritenuta d’acconto dovrà applicarla se non si ha partita Iva, su compensi come:

  • prestazioni di natura autonoma e occasionale,
  • partecipazione agli utili,
  • prestazioni a terzi,
  • assunzione di obblighi,
  • contratti di associazione in partecipazione per le prestazioni lavorative,
  • utili per i promotori e per i soci fondatori di spa, sapa e srl,
  • cessione del diritto d’autore,
  • diritti per opere dell’ingegno, ceduti da persone fisiche che le hanno acquistate.

Come si calcola la ritenuta d’acconto

Come abbiamo già avuto modo di anticipare nelle righe che precedono, la ritenuta d’acconto è generalmente calcolata nella misura del 20% sulle prestazioni conteggiate nella base imponibile, che a sua volta è costituita da:

  • il compenso per la prestazione,
  • i rimborsi a piè di lista per le spese effettivamente sostenute di viaggio, vitto e alloggio,
  • le spese documentate anticipate dal collaboratore e rimborsate dal committente.

Di contro, NON rientra nel calcolo della base imponibile ai fini del calcolo della ritenuta d’acconto:

  • i contributi previdenziali,
  • l’addebito di rivalsa del contributo per la cassa previdenziale del proprio ordine professionale,
  • i compensi che sono pagati come anticipo del rimborso spese in nome e per conto del cliente, a patto che siano documentate e che non si tratti di spese che riguardano la produzione del reddito di lavoro autonomo.

Infine, ti precisiamo che l’aliquota del 20% è l’aliquota ordinaria, che probabilmente ti troverai ad applicare nella tua effettiva quotidianità.

In alcuni casi si applica però un’aliquota maggiorata, del 30%. È il caso dei compensi che vengono percepiti per prestazioni su persone non residenti o dei compensi per la cessione di opere dell’ingegno, brevetti, marchi & co., corrisposti a persone non residenti.