ITALIA-GERMANIA 4-3, IL MIO RICORDO DI QUELLA NOTTE

Cosa dire di Italia-Germania 4-3 dopo cinquant’anni? Emozione immensa, come dopo Italia-Germania 3-1 dell’82. Almeno per me. Ma a Madrid, al Bernabeu, diventammo Campioni del Mondo, e sentii il mio caro Nando Martellini cantare la vittoria come non gli era riuscito all’Azteca di Città del Messico. E tuttavia nello stadio messicano c’è una targa che ricorda in più lingue “La partita del secolo”. Andai a vederla, nell’86, proprio con Nando che purtroppo finì lì il suo canto azzurro non per avere irritato un guardalinee africano, come Nicolò Carosio nel ’70 che se ne andò passandogli il microfono, ma per un malessere banale. E subentrò Pizzul. Dettagli, direte; eppure la storia degli uomini a volte vale più dell’evento. E fu l’umanità, a trionfare, dopo quella clamorosa rete di Gianni Rivera che chiuse “el partido del siglo”, la folle danza del gol cominciata con la rete non voluta di Schnellinger, al 92′: il tedesco del Milan era pronto per uscire sconfitto, colpì il pallone senza convinzione, Albertosi e Rivera fecero casino in porta, pareggiò e portò tutti ai supplementari. Compreso quel Beckenbauer eroe teutonico che giocò con un braccio al collo. Ah questi tedeschi – si disse; ma vincemmo noi, italianuzzi stortignaccoli.
Alla fine – dicevo – grande festa di uomini: l’Italia impazzì, il popolo scese nelle strade come mai prima, almeno cantando vittoria e pace, e comparvero le bandiere che l’Italia ufficiale non amava, tant’è che se ne videro con lo stemma sabaudo, roba da patrioti, da nostalgici, da italiani d’antan. Non aggiungo altro se non una considerazione politica: adesso leggo solo commenti entusiasti, per quella folle sbandierata, firmati anche da odiatori di quel tricolore, ma non stupisco, è il solito soccorso ai vincitori, è cosa da italiani. Brera s’era già inventato un pensiero su misura del Guicciardini, “non fidarti mai delli italiani” e fu proprio lui, quella sera, a non immaginare la reazione del Bel Paese al gol di Rivera, il suo “abatino” messo in squadra a fatica perchè il dirigente Walter Mandelli, industriale metallurgico, aveva imposto a Valcareggi Mazzola.
Dal mio diario – che non è un quaderno ma l’archivio delle storie scritte e pubblicate – la pagina tecnica di quella notte. Finì Italia-Germania e arrivò la chiamata di Gianni Brera dall’Azteca: “Fra poco trasmetto il pezzo, ma non date di matto anche voi. Gridano tutti “che spettacolo!” ma questo non è calcio… Vi do una battuta di Rocco per i titoli: “Danke Schoen”, il tedesco ha sbagliato tutto…”. Sì, grazie anche a Helmut Schoen, ai suoi vistosi errori tattici, l’Italia aveva vinto la sfida che sarebbe passata alla storia; e chi glielo diceva, a Brera, che dalla Redazione del “Guerin” – piazza Duca d’Aosta – si vedeva già una folla festante davanti alla Stazione Centrale di Milano e che la radio dava notizia di feste in tutta Italia, isole comprese? Giuan avrebbe scritto pagine dense d’emozione e d’ironia con dettagli taglienti tipo “il calcio giocato confuso e scadente sotto l’aspetto tecnico-tattico… Sotto l’aspetto agonistico e sentimentale una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare, in quanto di calcio poco ne san masticare…”. Bè, un intero popolo di competenti (siamo o no il Paese di 60 milioni di commissari tecnici?) si esaltò per quel successo che a Brera non piacque – dissero i maliziosi – perchè il gol della vittoria l’aveva segnato Rivera, l’odiamato Abatino. E invece era un momento storico per il dibattito calcioculturale fra difensivisti del partito Brera e i qualunquisti del partito Ghirelli, che continua oggi anche se in toni meno ideologici. Io ero l’unico riveriano nel giornale di Brera ma mi lasciai convincere al pensiero catenacciaro. Con giudizio, però. Tanto che per quel 4-3 tornai qualunquista. Ma lucido. Bastarono poche ore per rovesciare in rissa la festa. All’onorevole – in senso buono – Ferruccio Valcareggi, l’allenatore che aveva vinto il primo (e unico) Europeo, imposero ancora la staffetta Mazzola-Rivera: Gianni non avrebbe giocato la finale con il Brasile. Ogni volta che ho incontrato Pelè, in America e in Italia, siamo finiti lì, su quel dettaglio che ancora mi brucia, e lui, serenissimo: “Sandro e Gianni nel mio Brasile avrebbero sempre giocato insieme”. Comunque in finale fummo battuti, e O Rey segnò dopo Boninsegna quel gol volando nel cielo e restandovi appeso. A Rivera furono concessi gli ultimi quattro (?) minuti, quasi una chiamata di correo. E fu scandalo. In Italia fu polemica feroce. E quando la Nazionale rientrò a Roma fu accolta a pomodorate. Dalla bandiera tricolore di quella notte felice a una sorta di “caprese” con mozzarella, pomodoro e basilico. Sic transit gloria mundi.

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