IL DANNO MAGGIORE DI QUESTA PESTE E’ L’ABOLIZIONE DEL MONDO

Mi ha scritto un lettore:”Seguo le sue esternazioni giornalistiche sulla tragedia che viviamo ma non ho mai letto che le manchino le partite di calcio. Come vive la crisi della sua passione?”. La mia passione e’ il mio lavoro e che questo coincida in buona parte con lo sport, il calcio in particolare, mi sembra da piu’ di mezzo secolo un colpo di fortuna che comincio’, invece, con una condanna: un famoso direttore, Giovanni Spadolini, non gradiva la mia irrequietezza e mi sbatte’ a scrivere di sport. Scoprii una inesauribile riserva di umanita’ e – come ho scritto in un libro – potei conoscere il mondo intero viaggiando a spese altrui. Ho letto in alcuni accorati saluti a Gianni Mura che non era giusto ricordarlo come giornalista sportivo, meritava di piu’, come Brera. Ricordo che quando qualche ruffiano definiva Gioann “giornalista scrittore” per elevarlo lui commentava con il solito “l’e’ un pirla”. Confortato da un antico compagno di viaggio, Giovanni Arpino, uno dei piu’ grandi scrittori italiani, che volle farsi giornalista sportivo anche per vedere il mondo. Gli autori di alcuni di quei coccodrilli non hanno evidentemente esperienza di viaggi che io ritengo il primo livello di cultura. La globalizzazione – che secondo gli scienziati ci ha offerto anche il Coronavirus – non affligge gli uomini con la valigia, quorum ego, ma quelli che stanno fermi e ti dicono di correre, e come. C’e’ una versione maligna che riguarda il mio mestiere, firmata dal genio assoluto Leo Longanesi:”Un vero giornalista spiega benissimo quello che non sa”.
Si’, viaggiare. Ecco la risposta al quesito del lettore: il calcio mi manca ma non troppo; le partite spalmate su cinque giorni della settimana mi hanno abbondantemente sfamato, i signori del calcio business scoprono adesso i danni che hanno fatto e spero che il ritorno alla vita comportera’ ravvedimenti. Mi mancano invece i viaggi, mi addolorano le immagini degli aeroporti vuoti, non quelle degli stadi deserti. Questa e’ la mancanza di liberta’, non “io resto a casa”. Il danno maggiore di questa peste e’ l’abolizione del mondo, la resa all’unico libero e impunito e inarrestabile viaggiatore che non conosce confini, neanche quelli austriaci: il Coronavirus.

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