Happy Birthday Mr. Obama, l’ex presidente Usa compie 60 anni

ROMA (ITALPRESS) – “Happy Birthday Mr. President! Happy Birthday Mr. President”. Se oggi Marilyn Monroe fosse viva c’è da scommettere che ripeterebbe, con la sua sensuale ed etera voce, quel suo augurio che finì nella storia e che rivolse a John Kennedy. E sicuramente Obama, sfoggiando il suo sorriso diventato un marchio di fabbrica, commenterebbe la performance con una sagace battuta, lui campione di ironia. D’altronde gli elementi che accomunano Kennedy a Obama sono numerosi: entrambi democratici, entrambi hanno esercitato un appeal sull’elettorato specialmente quello femminile, ed entrambi hanno flirtato con il jet set, con le star di Hollywood e i big della musica internazionale. Basta scorrere l’elenco degli artisti che parteciperanno al mega party per i suoi 60 anni (4 agosto) ed accorgersi dell’appoggio riservatogli dall’ambiente. Dai Pearl Jam di Eddie Vedder (saranno loro che si sostituiranno a Marilyn nell’intonargli il classico “Happy Birthday mr. President) a Steven Spielberg fino a George Clooney.
Party delle polemiche per via di un programma che cozza con le restrizioni al covid, con centinaia di invitati che riempiranno la sua lussuosa residenza di Martha’s Vineyard, a sud dell’isola di Boston. Luogo amatissimo dai vip americani, buen retiro delle principali dinastie statunitensi, famiglia Kennedy in testa (tanto per restare in tema). Festa in grande stile quindi, per il sessantesimo genetliaco di uno dei presidenti più amati di sempre. Nato ad Honolulu, Hawaii, il 4 agosto del 1961, ha dovuto più volte dimostrare i suoi dati anagrafici, soprattutto con un esagitato Donald Trump che in più occasioni gli ha intimato di esibire il certificato di nascita, perché per una fetta della destra a stelle e strisce Obama sarebbe nato in Kenya, quanto basta per fare di lui un musulmano. Lo stesso Trump nei suoi comizi arringava la folla contro “Hussein”, utilizzando a piacimento il suo secondo nome per insinuare il sospetto nella mente dei complottisti. Di kenyota in effetti scorre metà del suo sangue. Il padre era un economista proveniente dal lontano Paese africano e dove morì a seguito di un incidente stradale, la madre invece era un’antropologa originaria del Kansas. Entrambi giovani studenti universitari, hanno instillato nel dna di Barack la passione per lo studio.
La fine del matrimonio dei genitori, costrinse i nonni a formare il giovane nell’isola hawaiana. Poi arrivarono gli studi alla Columbia University, dove si laureò in Scienze politiche con una specializzazione in relazioni internazionali. Con una laurea in tasca mosse i primi passi tra una società finanziaria e la parentesi di Chicago al fianco del mondo no profit cristiano. Poi il ritorno all’università ottenendo una laurea in giurisprudenza ad Harvard. E fu durante uno stage in uno studio legale che conobbe quella che sarebbe diventata la first lady Michelle, che sposerà di lì a poco, nel 1992. La passione per la politica, forgiata negli anni dell’università, maturata nella sua attività di avvocato per i diritti umani, si consolida con la corsa di Bill Clinton alla Casa Bianca. Aderisce ai dem, sostiene Bill in campagna elettorale e sempre con i democratici arriva la sua elezione al senato dell’Illinois. E’ il 1996. Il 2004 è invece l’anno della sua elezione al Congresso degli Stati Uniti. Nel solo biennio 2004/2006 Obama produce più di 150 tra disegni di legge e risoluzioni. Tra i più noti quelli per l’aumento delle borse di studio universitarie, su immigrazione, sulla trasparenza dei fondi e contro la corruzione. La sua fama cresce, la fiducia di un certo establishment democratico prima e ù dell’elettorato medio poi lo convinsero nel 2008 a correre per le primarie. Che vinse, sbaragliando eccellenti sfidanti come Hillary Clinton. Vinte le primarie, ripeté il successo stavolta nelle presidenziali contro il repubblicano John McCain, strappando agli stessi repubblicani molti swing state, come Florida, Colorado, Nevada, Virginia. Non solo sfondò fra le minoranze e la comunità afroamericana, ma riuscì ad ottenere un certo successo pure tra la middle class. Negli anni della sua presidenza, riconfermati per i successivi 4 anni, poté vantare successi militari come la cattura di Osama Bin Laden, in politica estera come la riapertura delle relazioni con Cuba, sui diritti varando leggi a difesa degli omosessuali e della comunità lgbt, nell’ambiente, e soprattutto portando a termine la grande riforma della sanità, l’Obamacare. Sull’economia interna lavorò a sostegno di un settore automobilistico in forte crisi intessendo relazioni e partnership con player internazionali, Fiat in primis. Il suo slogan, che lo accompagnò durante la prima campagna elettorale fu quel “Yes we can” che dava speranza agli americani, soprattutto ai delusi delle politiche repubblicane e agli strati sociali più poveri della popolazione da sempre ai margini della società. La sua stella polare fu l’unità di un Paese che negli anni successivi si è riscoperto lacerato, lui, primo presidente di colore della storia degli States, per i gruppi più conservatori fu un elemento divisivo. Una minaccia per una America bianca. La storia poi, alla fine del trumpismo, metterà in discussione il concetto di unità con il riemergere di rigurgiti suprematisti invero mai sopiti. L’intera vita di Barack Obama alla soglia dei 60 anni rimane comunque – al netto dei giudizi politici – la dimostrazione di quanto il sogno americano, nella sua declinazione più multietnica, non sia un mito.
Figlio di un africano e di una statunitense, cresciuto nella periferia degli States con una parentesi persino indonesiana, e arrivato ad essere l’inquilino della Casa Bianca. “Non c’è un’America nera e un’America bianca, un’America latina e un’America asiatica: ci sono gli Stati uniti d’America” disse in uno dei suoi interventi più noti. Oggi Obama gira il mondo tra seminari e conferenze; pubblica libri, partecipa a trasmissioni tv, elargisce massime e concetti. Guarda al passato con riconoscenza ma soprattutto sembra scrutare il futuro con curiosità e quel pizzico di speranza per un avvenire del quale non ha mai avuto paura, alimentato da un inguaribile ottimismo. “Ciò che sappiamo, ciò che abbiamo visto, è che l’America può cambiare, questo è il vero genio di questa nazione- disse in un noto discorso pronunciato a Philadelphia-. Ciò che abbiamo già raggiunto ci dà speranza, l’audacia della speranza, per quello che possiamo e dobbiamo raggiungere domani”.
(ITALPRESS)

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