Capitol Hill e la democrazia da ricostruire

Le immagini oltre al loro significato diretto, hanno un Senso. L’inquadratura della scarpa vuota dopo l’attentato al mercato di Sarajevo nel 1994 non voleva solo dire che lì c’era stato un essere umano vittima di una violenza. Il Senso era la guerra. Nello stesso modo le immagini dell’assalto al Congresso americano non raccontano solo la cronaca di un disordine civile gravissimo. Raccontano il senso della sconfitta della democrazia. Non una democrazia qualsiasi, ma quella americana, il faro, il paradigma moderno di una forma dello Stato e delle relazioni fra cittadini. Quante volte, di fronte alle nostre liti cervellotiche, non ultima la pseudo-crisi che stiamo vivendo, abbiamo detto, ah se fossimo come gli amici di oltreoceano.

Semplicità, libertà, alternanza, ma soprattutto l’idea che il bene di un paese è sempre superiore agli interessi di un partito e di un pezzo di potere. Questa volta invece l’immagine è quella di un mondo spaccato esattamente a metà. Biden miglior vincitore di sempre, ma Trump miglior perdente di sempre. E’ bastato che il leader repubblicano non accettasse il verdetto delle elezioni, e dunque le liturgie del gioco stesso, per mandare in tilt l’intera macchina. La crisi però viene da lontano e viene dall’elezione stessa di McDonald. Un grande intellettuale non di sistema come Chomsky l’aveva già spiegata: il cittadino medio americano è stanco di farsi rappresentare da politici che poi fanno i loro interessi o quelli delle varie oligarchie già esistenti. In questo buco della democrazia rappresentativa si inserisce il leader populista, inteso in senso tipologico.

Cosa dice il leader populista al cittadino deluso? Ci penso io ad accorciare quel dislivello spaventoso che si è creato tra i pochi che detengono tutto (powerfull) e i molti che non hanno quasi niente (powerless). A patto ovviamente di un sostanziale accantonamento delle istituzioni, dal parlamento, ai capi della sicurezza nazionale, al controllo della Corte suprema. Se poi il tipo generale assume l’individualità specifica di Trump, con la sua storia, la sua visione antropologica e i problemi caratteriali, diciamo così, ecco che la frittata è fatta. Ora si tratta di rimettere in piedi i cocci, dopo che le immagini medievali del leader dei ribelli con tanto di pelliccia e corna vichinghe hanno violato la sacralità del Congresso. Bisogna che Trump faccia un passo indietro come pure devono farlo i trumpisti di tutto il mondo, e non certo con le condanne annacquate con i fiori della retorica di molti leader nostrani, a cominciare dal nostalgico Giuseppi.

Il vincitore Biden si deve muovere alternando i linguaggi più difficili, la durezza verso le degenerazioni e il severo controllo dell’ordine pubblico in vista dell’insediamento del 20 gennaio, ma anche la mediazione con i repubblicani moderati per un appoggio politico bipartisan. Soprattutto deve saper parlare al paese e ai suoi bisogni reali in tempo di Covid, per evitare che lo scempio di Capitol Hill diventi la punta dell’iceberg di una spaccatura sociale irreversibile.

Claudio Brachino

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