A Venezia “America Latina”, thriller psicologico dei fratelli D’Innocenzo

VENEZIA (ITALPRESS) – I Fratelli D’Innocenzo lo definiscono un thriller “come tutte le storie d’amore”, giocando a spiazzare le attese legate a “America Latina”, il loro terzo film che giunge oggi sul Lido, a completare la rappresentativa italiana nel concorso di Venezia 78. Più che d’amore, in realtà, potremmo definirlo un thriller mentale, perché sembra quasi sigillato nella mente del protagonista, in una sorta di stanza chiusa della sua ossessione psicotica che un giorno implode e gli si rivela come una delirante epifania. Fuor di metafora, “America Latina” racconta la storia di Massimo, un odontoiatra di successo che vive con la moglie e le due figlie in una lussuosa villa collocata nel cuore dell’Agro Pontino (da cui lo spiazzante titolo del film).
La sua vita è incasellata in un quadro preciso, che lo vede muoversi con pacata lucidità tra l’ordine dello studio dentistico e la leziosità degli affetti che lo attendono a casa. Ai margini restano le visite dolorose al vecchio padre che vive da solo e nutre un profondo rancore nei suoi confronti e le serate in compagnia di un meno fortunato amico d’infanzia. E poi c’è l’interrato della sua villa, dove un giorno scende in cerca di una lampadina e trova tutto l’orrore rimosso della sua buona coscienza, la trappola per un’innocenza che l’ordine apparente della sua mente vittimizza ogni giorno: una ragazzina terrorizzata giace legata a un palo e lui proprio non sa come sia finita lì…
È attorno al mistero di quello scantinato che i Fratelli D’Innocenzo fanno ruotare l’intero dramma che travolge e sconvolge il loro protagonista, la psicosi che finisce con fargli perdere sempre più il contatto con la realtà, trasformandolo in un groviglio di sospetti e di paure. E lasciandoci del resto a nostra volta nel sospetto che tutto quel mondo in cui il protagonista vive altro non sia che una proiezione delle sue fantasie turbate.
Come in “Favolacce”, anche in “America Latina” i D’Innocenzo giocano a instaurare nel loro film un regime di apparenze quotidiane che coprono come un velo luminoso l’oscurità che si cela dietro la normalità. Affidandosi anche qui a Elio Germano creano del resto un legame diretto con il loro film precedente, rispetto al quale “America Latina” ribalta con precisione tutte le coordinate: lì ci si muoveva in un contesto proletario qui in un contesto altoborghese, lì era l’innocenza dei bambini a covare il male, qui è l’istituto paterno. I tutto è immerso ancora una volta in uno scenario di provincia che è osservato e rappresentato dai due fratelli come uno spazio esotico marcescente, una palude bonificata malamente in cui i personaggi si disperdono e infrangono le loro esistenze. Rispetto a “Favolacce”, però, “America Latina” risulta troppo avvitato nella dimensione mentale del suo protagonista, privo di quel tessuto sociale di riferimento che nel film precedente costituiva il nutrimento narrativo per lo scenario quasi surreale che veniva rappresentato. In questo senso anche la straordinaria capacità dei due fratelli di filmare la realtà con sguardo obliquo, dotato di prospettive dinamiche e funzionali, risulta qui un po’ virtuosistica. La prestazione di Elio Germano rispetta gli alti standard di questo nostro attore, ma va detto che il film risulta troppo concentrato su di lui, troppo stretto sui primi piani del suo delirio soggettivo, e manca di respiro, di ampiezza e di profondità.
(ITALPRESS).

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