A CANNES “UN AFFAIRE DE FAMILLE” DI KORE-EDA

Il piccolo mondo fuori norma di Hirokazu Kore-eda torna a farsi amare dal pubblico di Cannes, portando in concorso sulla Croisette “Une affaire de famille”, ancora una storia di affettività trasversali da questo grande regista giapponese, rivelatosi proprio qui a Cannes più di vent’anni fa con “Maborosi”, cui sono poi seguiti film amatissimi come “Afterlife”, “Nobody Knows”, “Little Sister” e “Ritratto di famiglia con tempesta”. Tutti film in cui la famiglia è elemento centrale, declinata però in una versione differente da quella cui siamo abituati, come una somma di vettori affettivi in cui i legami di sangue sono secondari rispetto ai legami formativi, emotivi, psicologici. Insomma una famiglia sostanziale più che dettata da vincoli di parentela diretta, in cui l’infanzia è il baricentro di un equilibrio che sgancia il gruppo dalle regole rigide e prestabilite della società. Tutti elementi che ritornano puntualmente in “Une affaire de famille”, storia di una famiglia fuori dal comune, che vive strappando la giornata tra il poco lavoro e qualche furto nei supermercati. Sei persone che vivono serenamente nella piccola casa della vecchia Hatsuke, vedova che tira con la pensione del marito morto e tiene con se la nipote Aki, ma anche la coppia composta da Osamu e Nobuyo, marito e moglie che tirano la giornata tra lavoro malpagato e qualche furto nei negozi per arrotondare la spesa. Ad aiutare Osamu nell’impresa è il piccolo Shota, che si direbbe loro figlio, ma evidentemente non lo è, visto che il ragazzino, pure molto legato a quei genitori, non se la sente proprio di chiamare quell’uomo papà. Shota sa bene di essere stato trovato e sostanzialmente (non legalmente…) adottato dalla coppia e quando una sera, tornando a casa, vedono al freddo sul balcone la piccola Juri, Osamu decide di portarla con sé a casa.

La bimba ha il corpo coperto di lividi e alla fine Nobuyo accetta di tenere la bambina con loro, come una nuova figlia, nascondendola al mondo proprio come avevano fatto con Shota. Questa famiglia trasversale vive fuggendo dalle regole sociali, duplicando in una chiave più lieve lo spunto narrativo che era appartenuto all’indimenticato capolavoro di Kore-eda, “Nobody Knows”. In “Une affaire de famille”, però, gli eventi scorrono in armonia, perché queste surrettizie figure parentali sono dolci e accoglienti pur nella loro visione spiccia e approssimativa delle regole sociali. E del resto sappiamo bene che il film è destinato a portarci verso una svolta che vedrà sfaldarsi questa meravigliosa e impropria scena affettiva sotto i colpi del mondo reale che da fuori incombe e finirà con l’entrare attraverso la porta in quella casa. Hirokazu Kore-eda anche questa volta trova dunque la sua poetica nella definizione di strati sociali differenti dalla norma, in cui colloca una visione alternativa della realtà ma non meno ordinata e coerente sotto il profilo morale, affettivo, psicologico. Il film definisce i rapporti tra i personaggi di questa impropria famiglia con una precisione emotiva straordinaria, lasciando ad ognuna delle figure in campo lo spazio per esprimere una visione spiazzante ma anche commuovente dei legami. Ciò che colpisce è la capacità del regista di trovare una dimensione morale nelle pieghe più inattese della realtà umana, affidandosi a una drammaturgia che scolora il dramma nella commedia dei sentimenti, senza mai perdere di vista un sostanziale approccio realistico e una invidiabile precisione psicologica. In questo Kore-eda trova sempre conforto in un cast di interpreti fidati che lo aiutano a definire adeguatamente le sfumature dei personaggi e delle situazioni.
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