Cervelli al Sud, da Monaco a Palermo per lo studio dell’artrosi

ROMA (ITALPRESS) – Simone Dario Scilabra, 37 anni, è nato e cresciuto in Sicilia. Ha studiato, vissuto e lavorato all’estero molti anni. Al centro delle sue ricerche, è da sempre l’artrosi. ‘Una patologia – spiega – per cui non esiste una cura, ma solamente l’intervento chirurgico per l’impianto di protesi come unica possibilità riabilitativà. Negli ultimi anni di ricerca presso il DZNE di Monaco di Baviera, un centro d’eccellenza internazionale, ‘ho individuato una proteina, chiamata iRhom2, che potrebbe svolgere un ruolo chiave nella progressione dell’artrosi. La mia ipotesi è che l’inattivazione di questa proteina possa portare ad un miglioramento della patologia, e quindi stiamo sviluppando degli inibitori di iRhom2 che potrebbero essere usati nella terapia farmacologica dell’artrosi, evitando così l’intervento chirurgico a chi ne è affettò.
Il bando Brains to South, grazie al quale si è spostato dal DZNE – German Center for Neurodegenerative Diseases di Monaco alla Fondazione Ri.MED di Palermo è stato per lui ‘un mezzo per arrivare ad un Istituto che mi permette di fare il lavoro che ho sempre sognato, con il vantaggio di essere nella città in cui sono natò.
Si è laureato con il massimo dei voti in Biotecnologie all’Università di Palermo, dove ha incontrato la prima persona veramente importante nel suo percorso di crescita, la Professoressa Maria Letizia Vittorelli, che ha supportato, sin da subito, la sua propensione a migliorarmi. ‘A lei ho chiesto – racconta – la possibilità di fare la tesi di laurea all’estero, e lei, per darmi questa possibilità, organizzò un programma di scambio con un centro di ricerca in Svizzera, che, ancora oggi che la Professoressa Vittorelli non c’è più, è un fiore all’occhiello dell’ateneo di Palermo, in quanto continua a dare a giovani studenti delle incredibili opportunità di crescita e di immissione nel mondo del lavoro. Dopo la laurea, ho vinto una borsa di studio per svolgere un tirocinio di 6 mesi all’estero. Volevo migliorare l’inglese, indispensabile per poter fare questo lavoro. La Vittorelli prese contatti con il Professor Hideaki Nagase all’Imperial College di Londra, e quindi mi sono ritrovato catapultato nella metropoli inglese; una Londra che allora come ora è la città del futuro. Per fare un banale esempio, mi sono iscritto a Facebook nel 2007, mentre la maggior parte dei miei amici in Sicilia lo ha fatto solo 2 anni più tardi. Dovevano essere 6 mesi, alla fine furono 6 anni. Dopo qualche settimana di lavoro mi hanno chiesto di restare per un dottorato di ricerca. All’inizio ero combattuto, spaventato, volevo continuare il mio percorso dentro l’università. Poi la Vittorelli mi disse di non tornare, che non mi avrebbe più voluto vedere nel suo laboratorio. Ogni volta che vedo la scena di Nuovo Cinema Paradiso in cui Alfredo dice a Totò ‘Non tornare più, non ci pensare mai a noi… se non resisti e torni indietro, non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mià, io rivedo la mia Professoressa. E così Londra divenne la mia seconda casa, un professore giapponese il mio secondo padre, e un gruppo di emigrati pugliesi, calabresi e friulani la mia seconda famiglià.
Quando a una grossa conferenza internazionale, ‘ho conosciuto il Professor Stefan Lichtenthaler del DZNE mi sono innamorato scientificamente di ciò che faceva nel suo laboratorio e della tecnologia di cui è uno dei massimi esperti internazionali: la proteomica. Decisi quindi di trovare i fondi per trasferirmi dall’Università di Nagoya, in Giappone, in cui stavo svolgendo un periodo di ricerca post-dottorato, al DZNE di Monaco. Riuscii ad ottenere la prestigiosa borsa di studio Marie Curie dell’Unione Europea che mi consentì di iniziare la mia ricerca al DZNE e specializzarmi nel settore della proteomica.
Il DZNE è un ambiente scientificamente molto stimolante, rappresenta il top mondiale, soprattutto nell’ambito delle malattie neurodegenerative. L’esperienza di Monaco e gli insegnamenti del Professor Lichtenthaler sono stati fondamentali per il mio sviluppo professionale e mi hanno permesso di diventare il Principal Investigator in proteomica della Fondazione Ri.MED’.
Ha deciso di partecipare al bando perchè ‘sono siciliano, mia moglie è siciliana e la mia famiglia è qui. Ovviamente questo ha influito non poco sulla nostra scelta di rientrare in Italia, ma non è stato il motivo principale, a differenza di quanto si possa pensare. Dopo tanti anni di ricerca ‘subordinatà, pensavo fosse arrivato il momento di rendermi indipendente, di avere l’esperienza necessaria per dirigere il mio gruppo di ricerca e di perseguire i miei interessi scientifici. Ri.MED mi dava questa possibilità, e mi avrebbe permesso di farlo a dei livelli d’eccellenza, soprattutto per il Sud Italia. Inoltre, Ri.MED aveva a disposizione tutta la strumentazione necessaria per effettuare quelle analisi di proteomica ad alta risoluzione necessari per sviluppare i progetti di ricerca che avevo in mentè.
Quale è la relazione con l’Università all’estero?
Oggi la ricerca è molto diversa dai tempi in cui Rita Levi Montalcini scriveva pagine fondamentali della storia della neurobiologia lavorando in un piccolo laboratorio domestico, durante la Seconda Guerra Mondiale. Una ricerca di alto livello non può prescindere da una rete di collaborazioni di alto livello. Oltre ad aver mantenuto un rapporto splendido con i miei mentori e con i vecchi colleghi, che nel frattempo sono diventati leaders nelle università più prestigiose del mondo, da Oxford a Nagoya, continuo ad avere un rapporto di stretta collaborazione con il DZNE e con il Professor Stefan Lichtenthaler, che ha supportato il mio trasferimento a Palermo sin dall’inizio. Mi ha aiutato a redigere la domanda per il bando, ha condiviso con me i reagenti e le tecnologie che mi hanno permesso di essere produttivo sin da subito ed è ancora molto presente nella valutazione critica dei miei progetti di ricerca.
Come vede il suo futuro? e quello della ricerca più in generale?
Sembra un paradosso, ma credo che la Brexit, nel breve, aiuterà lo sviluppo della ricerca in Italia. Molti amici Italiani, group leaders in Inghilterra, cominciano ad avvertire un certo disagio per la situazione politica d’oltremanica e ad accrescere un desiderio di andar via. Parliamo di ragazzi che hanno lavorato 20 anni ad Oxford, Cambridge o all’Imperial College London. Se questa gente sarà costretta a trovare un lavoro altrove, penso che la Germania con la sua potenza economica ne gioverà tantissimo, ma anche l’Italia, di riflesso, avrà più facilità nell’attrarre gente che, con la mentalità internazionale acquisita, potrà aiutare perchè le cose nell’ambito della ricerca in Italia migliorino. Chi ha lavorato negli istituti di ricerca e nelle università top, sa perfettamente che per fare ricerca d’eccellenza ed essere competitivi a livello internazionale non basta avere ricercatori top e piattaforme scientifiche all’avanguardia, ma sono necessarie misure che mettano il ricercatore nelle condizioni migliori per poter lavorare. Nel mio caso, quando sono arrivato al DZNE di Monaco, un ufficio preposto mi ha aiutato a trovare casa, a trovare un lavoro per mia moglie e a fraternizzare con gli altri ricercatori organizzando eventi nei weekend. E’ un esempio per dire che il messaggio del DZNE era chiaro: ‘pensa a produrre, al resto ci pensiamo noì. Credo che, se un giorno ci sarà tanta gente che come me, tornando dall’estero, penserà che questa sia la normalità, allora la ricerca italiana potrà veramente essere competitiva a livello mondiale.
Dal punto di vista personale, sto molto bene in Ri.MED, sento la fiducia e il supporto della direzione e sto cercando di fare del mio meglio per crescere e, nel mio piccolo, di contribuire alla crescita dell’istituto. Con la mia famiglia stiamo facendo programmi a lungo termine, come comprare una casa. In futuro, non saprei. Faccio parte di quella generazione di ‘nati con la valigià, spostarmi non mi spaventa più di tanto. Qualora non ci fossero più le condizioni per fare il mio lavoro nella maniera in cui voglio, non avrei problemi a prendere tutto e andar via di nuovo. A mio figlio di 3 anni abbiamo sempre parlato in inglese lingua che oggi parla meglio dell’italiano. Siamo preparati anche a questa evenienza.
(ITALPRESS).

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