MILANO (ITALPRESS) – La celiachia è una malattia autoimmune cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’assunzione di glutine, una proteina presente in cereali come grano, orzo e segale. Nei soggetti geneticamente predisposti, il glutine provoca una reazione immunitaria che danneggia la mucosa intestinale, compromettendo l’assorbimento dei nutrienti. In Italia si stima che circa una persona su cento sia celiaca.
I sintomi variano dai disturbi intestinali a manifestazioni quali anemia, stanchezza o dermatite. La diagnosi si basa sugli esami del sangue, con la ricerca di anticorpi specifici e viene confermata con una biopsia intestinale. Attualmente l’unica cura è una dieta senza glutine per tutta la vita, che permette la remissione dei sintomi e la guarigione della mucosa intestinale. Negli ultimi anni l’incidenza della celiachia in Italia sembra aumentata.
“C’è una grande attenzione all’assunzione del glutine perché può stimolare la presenza di sintomi pur non essendo celiaci, per cui magari anche la percezione dell’aumento esponenziale dei celiaci è anche forse percepita in relazione a questo aspetto, ma il dato di fatto che sia comunque aumentata nei numeri c’è”, ha detto Giovanni Cammarota, professore ordinario di Gastroenterologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’unità operativa complessa di gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma, intervistato da Marco Klinger per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“C’è una migliore consapevolezza e quindi più attenzione verso la diagnosi, poi si ipotizza che il grande uso che si fa del glutine anche nell’età infantile in qualche modo possa predisporre un po’ alla stimola autoimmune nelle persone predisposte. Altri motivi possono essere collegati, si parla molto di microbiota intestinale. In qualche modo l’uso spregiudicato degli antibiotici sempre nell’età infantile possa predisporre allo sviluppo delle patologie autoimmune. E non da ultimo può essere anche importante l’età del neonato nel momento in cui si introduce il glutine”.
Un celiaco “può essere anche completamente asintomatico, non è detto che abbia per forza dei sintomi”. Tra i più comuni, “presenti in età infantile ci sono il gonfiore addominale, la diarrea, il mal di pancia. Uno dei problemi della celiachia è l’assorbimento del ferro, quindi l’anemia può essere una spia”.
Tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi “possono passare anche molti anni: quando ci imbattiamo in un adulto celiaco non sappiamo in realtà quando è iniziata, possiamo in qualche modo ipotizzarlo. Nei casi di atrofia totale importante di solito è passato molto tempo, quando invece vediamo la permanenza di una struttura villare accennata evidentemente oppure che non prende tutto il piccolo intestino, possiamo ipotizzare che sia insorta da poco tempo”.
La biopsia intestinale, ha sottolineato Cammarota, “è ancora necessaria, negli adulti in particolare, però è anche vero che gli esami sierologici fanno predire la celiachia con una grande precisione, ormai ci avviciniamo al 99%. Nei bambini in particolare, proprio per legge, è previsto che ci possiamo basare solo su alcuni elementi laboratoristici, gli anticorpi, la genetica, il titolo anticorpale e evitare ai bambini di fare la gastroscopia che è un esame invasivo con l’esame istologico, che invece nell’adulto è ancora previsto anche per avere poi diritto ai benefici di legge”.
Il celiaco che non evita il glutine “continua a non assorbire bene perché ovviamente il glutine nei pazienti che hanno geneticamente la predisposizione induce una risposta infiammatoria su base autoimmune che distrugge il meccanismo di assorbimento dell’intestino: quindi i pazienti celiaci non assorbono il ferro, il calcio, la vitamina B12. C’è una serie di danni legati al mancato assorbimento, che giustifica anche la prevalenza dei sintomi. Nel lungo periodo sono pazienti che se non fanno la dieta sono un po’ più a rischio: per esempio le donne in età fertile sono a rischio di abortività”.
Esistono studi recenti che parlano della speranza di istruire il sistema immunitario a tollerare il glutine. “È molto interessante e suggestiva questa ipotesi di ricerca che speriamo nel futuro possa dare dei risultati. Sostanzialmente si cerca di capitalizzare tutta l’esperienza che si è costruita nel trattamento di alcune forme tumorali ingegnerizzando i linfociti T, cioè addestrando i linfociti della persona che è ammalata per regolare la risposta autoimmune all’assunzione di glutine. Ci si sta dando tanto da fare, però al momento la terapia unica e semplice che funziona è la dieta senza glutine”, spiega.
Il paziente “non è celiaco per il microbiota, ma perché – ha concluso – ingerisce il glutine predisposto geneticamente, però quando c’è un’alterazione microbica, ci può essere un danno della permeabilità intestinale” che “è cruciale nella cascata di eventi che porta alla celiachia”.
– Foto estratta da Medicina Top –
(ITALPRESS)