Bob Dylan, il menestrello di Duluth compie 80 anni

Chissà cosa penserà, lui così schivo e da sempre lontano da ogni forma di celebrazione, di tutto quello che si sta scrivendo in questi giorni sul suo compleanno “tondo”. Sì perché Bob Dylan, al secolo Robert Zimmerman da Duluth, Minnesota, il 24 maggio compie 80 anni. Quasi tutti vissuti a braccetto con quella musica che iniziò a frequentare a soli 6 anni, studiando pianoforte e chitarra.
Il nome, contrariamente a tanti artisti che se lo sono visto consigliare dai discografici, se lo è scelto da solo. Qualcuno aveva ipotizzato che lo avesse preso dal poeta gallese Dylan Thomas ma lui lo ha smentito, spiegando che gli era semplicemente venuto in mente così, Bob Dylan, diventato il suo nome anche legalmente. Dopo gli inizi (assai precoci, parliamo degli anni del liceo, prima, e dell’università poi), Dylan inizia a girare l’America come una sorta di menestrello ambulante. Non è il massimo, come gli capita, doversi esibire tra un numero e l’altro in un locale di striptease ma gli inizi, si sa, non sono mai facili. Ma nel 1960 riesce, comunque, a realizzare un suo sogno: conoscere il “menestrello” Woody Guthrie. Lo incontra quando Guthrie è ricoverato in ospedale, malato e povero, ma subito tra i due nasce una grande amicizia. Ed è grazie al suo incoraggiamento che Dylan inizia a girare i locali del Greenwich Village. La sua musica, folk contaminato con il rock’n’roll, il “folk-rock”, colpisce subito, nel bene e nel male. Ma, tra applausi e critiche, sono soprattutto i suoi testi ad arrivare al cuore dei giovani che, in quegli anni, si preparano al ’68. Nei suoi brani c’è poco amore ma tanta attenzione ai temi sociali e ai diritti civili. Un titolo su tutti: quella “Blowin’ in the wind” che tutti noi, almeno chi ha superato gli “anta”, ha cantato almeno una volta nella vita e che ha avuto decine e decine di cover da parte di altrettanti artisti così come è accaduto all’altrettanto memorabile “Knocking on Heaven’s Door”.
Negli anni che seguono Dylan diventa un mito, un’icona popolare a dispetto appunto della sua riservatezza, tanto che nel 1992 la sua casa discografica, la Columbia, organizza un concerto in suo onore al Madison Square Garden di New York per il quale sul palco, sfilano leggende del rock come Lou Reed, Eric Clapton, George Harrison e Stevie Wonder. Ne nasce anche un doppio Cd: “Bob Dylan – The 30th Anniversary Concert Celebration”.
Il 1997 lo vede malato (viene ricoverato in ospedale per una rara infezione cardiaca) ma, presto, ristabilito tanto da prendere parte allo storico concerto organizzato a Bologna alla fine del Congresso Eucaristico. Dylan iniziò cantando “Knocking on Heaven’s Door” e, durante la sua mezz’ora di esibizione, ad un certo punto si interruppe per andare a stringere la mano a Giovanni Paolo II, dopo essersi tolto il cappello ed avere fatto un piccolo inchino.
Con gli anni 2000 arrivano due premi prestigiosi: nel 2008 il Pulitzer come “cantautore più influente dell’ultimo mezzo secolo” e nel 2016 il Nobel per la Letteratura “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della canzone americana”. Il premio, vinto nel mese di ottobre, è stato ritirato da Dylan solo nell’aprile successivo perché il cantante non si è presentato alla cerimonia di Stoccolma (dove è stato sostituito da una emozionatissima Patti Smith) e questo ha dato origine a un piccolo giallo poiché si è pensato che Dylan volesse rifiutarlo.
Nel 2020 Dylan, che vanta 125 milioni di dischi venduti, dieci Grammy e l’Oscar nel 2001 per “Things Have Changed” (dal film “Wonder Boys”), ha venduto alla Universal Music i diritti del suo intero catalogo musicale per la cifra record di 300 milioni di dollari.
(ITALPRESS)

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