PIETRUZZO ANASTASI, IL “TURCO” COMPIE 70 ANNI

di Franco Zuccala’

Pietruzzo Anastasi compie sabato 70 anni. Qualche volta “pontifica” calcio da qualche schermo lombardo. Lo conosciamo da oltre cinquant’anni. Non dimenticheremo mai quella pagina de “I giovani e il calcio” (siamo a Catania), anche perche’ da quel lavoro certosino nacque la possibilita’ di contribuire indirettamente alla scoperta di “Petru ‘u turcu”, Pietro Anastasi. Un giorno, il direttore Giglio Panza chiese di scrivere un articolo sulla origine di quel ragazzo nero e bravissimo che vinse scudetti e coppe in bianconero, ma anche un titolo europeo con la Nazionale. In un articolo degli anni ’60, oltre mezzo secolo fa, fu raccontata la sua vera storia. Il titolo era questo: “Solo ventimila lire di celebrita’ per Ursino, l’inventore di Anastasi”. Giovani Ursino era l’allenatore della Trinacria, la prima squadra di Pietruzzu, che aveva appena ricevuto una medaglia dalla Juve per la scoperta del giovane attaccante. Nella storia di Pietro Antastasi c’e’ stato quel piccolo grande uomo che lo aveva trovato come una perla, fra i mille ragazzi che correvano dietro una palla che stava fra l’o di Giotto e l’anguria delle bancarelle. Una palla che fra le gibbosita’ del campo della “Fossa Creta” e sulla sabbia della Plaja, la spiaggia di Catania, disegnava pazzesche figure, con le sue traiettorie irregolari. Questo uomo si chiamava appunto Giovanni Ursino e nessuno si e’ mai sognato di parlare di lui.

L’allenatore della Trinacria fu il primo, vero scopritore di Pietro Anastasi. Il campetto della “Fossa Creta” e’ ai margini del quartiere di San Cristoforo, dove i bimbi nascono in misura inversamente proporzionale alla poverta’ della gente, che piu’ cambiali fa, piu’ figli ha. Anzi, ogni figlio e’ una cambiale, una farfalla che si libra nell’aria: i genitori firmano e la societa’ paga. Alla “Fossa Creta” c’era la piu’ strana industria del mondo: di notte si smantellavano auto rubate e ogni buon ladro si portava a casa un pezzo da vendere. Di giorno la “Fossa Creta” si trasformava in un campo di calcio. Il suo signore e padrone era una volta un certo “Tano l’interprete”, come diceva il suo biglietto da visita, senza specificare nome e cognome. Lui si definiva un “organizzatore”. Cosa organizzava “Tano l’interprete” ? Tutto. Quando sbarcarono gli americani, durante la guerra, lui -che certo non aveva studiato alla Sorbona- si faceva trovare sul molo del porto e portava i marinai in gita a Taormina, sull’Etna, ovunque, parlando un siculo-americano che si esprimeva piu’ a gesti che a parole. Lui faceva tutto: nei giorni feriali il giudice sportivo, l’avvisatore delle squadre per il calendario delle partite, lui era la Lega…Nei giorni festivi, con la sua divisa di velluto nero, faceva l’arbitro di quasi tutte le partite. Con maniere spicce, a volte prendeva a calci nel sedere i giocatori che non obbedivano. Finche’ un giorno venne assunto dal Comune per i suoi “meriti organizzativi”. E fini’ la favola di Tano l’Interprete.

Un giorno, ci capito’ Giovanni Ursino, sul campetto, e vide giocare un “caruso”, un ragazzino nero nero. Un ragazzino che al pallone dava del tu, come fosse suo fratello. Sulle prime, il pallone, preso a calci maldestramente, aveva detto “Ahi”. Poi il piede del ragazzino nero, smilzo smilzo, tutto gambe e tutto occhi, si era fatto morbido come una mano guantata di velluto e il pallone era quasi lusingato, di esserne accarezzato. Ursino gli chiese se voleva giocare con la Trinacria. Avrebbe avuto una tuta, una maglietta rossa a bordi gialli, un paio di pantaloncini, i calzettoni giallorossi e un paio di scarpe da football autentiche. Il ragazzo accetto’. Giovanni Ursino era l’Herrera dei campionati giovanili, ma di professione faceva l’orologiaio. Pietruzzo di giorno faceva il commesso in un negozio di mercerie, in via Vittorio Emanuele. Di sera, in una delle tante piazze della citta’, sotto un lampione, giocava al pallone sotto la guida di Ursino che allenava i suoi ragazzi. Tutti si spogliavano nella sede della Trinacria (una sala da biliardo e flipper per incrementare le entrate) e poi andavano all’aperto in tenuta sportiva. Ogni tanto qualche piccolo David, con la fionda-pallone accecava il lampione e allora la Trinacria cambiava…piazza. Qualche burbero inquilino lanciava secchiate d’acqua per far sloggiare quei ragazzacci che turbavano la sua quiete e mettevano a repentaglio i vetri delle finestre. E poi, la domenica, che grande giornata con la Trinacria ! Si partiva alle 6 del mattino, talvolta per giocare alle 8 a Belpasso, su un campo di lava dell’Etna, col freddo che tagliava le carni dei ragazzini malnutriti. La partita, piu’ che un divertimento, diventava una penitenza in un angolo di purgatorio. Quando andava bene, si giocava al Villaggio Santa Maria Goretti. Andava bene perche’ si partiva in autobus e bastava mezzora dalla sede della Trinacria. Ci si poteva spogliare in sede, lasciare i vestiti, mettersi in tuta e…via. Al campo Santa Maria Goretti non c’erano spogliatoi.

La presenza di tanti ragazzini che talvolta si abbassavano i pantaloni destava grande scandalo ai tempi. La delegazione del Villaggio aveva protestato: “O vengono vestiti da calciatori, o qui non si giochera’ piu’ al calcio”. Giovanni Ursino arrivava col pallone sotto il braccio, facendolo rimbalzare per terra come i portieri. Poi si metteva in mezzo ai suoi ragazzi e dava le disposizioni tattiche. A Pietro Anastasi diceva solo: “Tu pensa a fare i gol.” E “u turcu” ne faceva a valanghe. La Trinacria era una macchina da gol. Ursino porto’ la Trinacria al titolo provinciale. Alla societa’ piovvero richieste su richieste. Anastasi, Contadino, Caruso erano gli assi della Trinacria. Ursino, per questi tre ragazzi, chiese anche consiglio sul da farsi. Il Vizzini (prima divisione) offriva 40.000 lire al mese per ciascuno. Il Catania li voleva, ma riteneva eccessive centomila lire per Anastasi. Il consiglio fu quello di cederlo a una societa’ con un allenatore serio e una buona organizzazione. Si fece avanti Angelo Massimino, padrone della Massiminiana (serie C) che promise cure e bistecche per il giovane talento di Anastasi che crebbe moltissimo anche tecnicamente. E un giorno il manager del Varese Casati, dopo una partita col Catania, non parti’ per dare il posto a una signora incinta. Resto’ e vide giocare il lunedì di Pasqua Pietro Anastasi. Scocco’ il colpo di fulmine: il giocatore gli piacque e s’accordo’ con Massimino. Le strade fra Ursino e Anastasi si divisero. Pietruzzo volo’ a Varese, poi alla Juve e alla Nazionale.

Quella del suo scopritore si fermo’ nell’anonimato. Un giorno rivelo’: “Pietro e’ stata la mia piu’ grande soddisfazione. Ci hanno guadagnato in parecchi. Io ho avuto solo ventimila lire da Angelo Massimino, quando lo prese…”. Lo ritrovammo a Torino, con la sua Porsche rossa ed un giorno nel 1968 lo vedemmo segnare a Roma il secondo gol della Nazionale che batte’ la Jugoslavia nella finale bis con l’Europeo. Negli spogliatoi, con Candido Cannavo’, seguì l’intervista e sembrava quasi un figlio nostro, un figlio della…Trinacria. E poi a Belgrado, per la finale della Coppa dei Campioni persa con l’Ajax. E poi gioco’ a Milano nell’Inter e fini’ la carriera con l’Ascoli, prima di aprire una scuola calcio nei pressi di Varese, dove abita, anche perche’ li’ conobbe la futura moglie, quando giocava con Bettega nella squadra biancorossa, prima di essere ingaggiato dalla Juventus. Ah, Pietruzzo dal campetto pietroso della “Fossa Creta” alle platee di mezzo mondo, agli scudetti, al titolo Europeo…Si e’ fatto vecchietto pure lui. Auguri.
(ITALPRESS).

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