A CANNES LES MISERABLES, TENSIONI SOCIALI A PARIGI

Dall’alto dei cieli, ovvero la banlieu parigina dalla prospettiva del drone: siamo a Montfermeil, lì dove Victor Hugo trovava i suoi Miserabili e dove il filmmaker francese Ladj Ly piazza la macchina da presa del suo primo film di finzione, ovviamente intitolato “Les Misérables”. Il Concorso di Cannes 72 butta subito nella mischia il cinema francese e lo fa affidandosi questo esordiente che viene dal basso, con lunga pratica di documentarista, esercitata da tempo proprio sulle strade della periferia parigina, filmando per un anno intero la vita a Clichy-Montfermeil, il quartiere nella periferia nord di Parigi, dopo la sommossa del 2005, scoppiata a seguito della morte di due adolescenti. La sua è un’esperienza di cinema di strada che arriva da lontano, iniziata addirittura nel 1995 accanto a Romain Gavras, il figlio di Costa-Gavras, col quale aveva fondato il collettivo Kourtrajmé impegnato a fare cinema coi giovani del quartiere, ma non è da dire che Ladj Ly giunga alla selezione di Cannes 72 con un film sperimentale: “Les Misérables” corrisponde pienamente alle necessità di quel cinema d’impegno civile anabolizzato dall’industria cinematografica francese, al quale siamo abituati sulla Croisette.
L’attenzione per il mondo dell’adolescenza resta però forte, perché il film è un tracciato corale in cui le tensioni della banlieu si intrecciano tra sistemi di potere incrociati, ma finiscono col tenere sotto pressione quell’infanzia che avrebbe il diritto di giocare per strada senza dover temere di interferire con gli equilibri di potere. La storia è un apologo scritto sul confronto tra la legalità e l’ordine, in cui una pattuglia composta da tre agenti della brigata anti-crimine, cercando di risolvere il caso di un cucciolo di leone rubato da un ragazzino dalle gabbie di un circo, finisce con l’innescare un circolo pericoloso di violenza: gli zingari del circo pretendono la restituzione dell’animale, il boss del quartiere non vuole collaborare, il capo della moschea cerca di difendere il ragazzino la cui bravata ha provocato il danno…
Quando la situazione sfugge di mano ai poliziotti e un altro ragazzo filma col drone la scena che potrebbe scatenare il putiferio, l’urgenza degli adulti di mettere ordine nelle cose finisce col lasciare i ragazzi del quartiere soli, orfani del senso di giustizia che dovrebbe reggere le cose e pronti a scatenare la loro rabbia. Il regista insiste con spirito da presa diretta sulla scena della banlieu che ben consce, cercando proprio nell’idea di un mondo degli adulti che impone la violenza sulla quotidianità di strada la chiave di accesso all’innocenza perduta di un intero sistema sociale, in cui l’infanzia è violata senza rendersene conto. Intensità, ritmo, un finale inquietante, interpreti che reggono il gioco di un realismo implicito: “Les Misérables” sa fare il suo lavoro e non la manda a dire a ogni sistema di potere, legale o meno, che pretende di gestire l’ordine prescindendo dall’innocenza che la giustizia deve conoscere e preservare.
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