DALLA FINANZA ALTERNATIVA GRANDI CHANCE MA POCHE PMI SE NE SERVONO

Nell’ultimo biennio il mercato della finanza alternativa per le Pmi è cresciuto rapidamente, sia in termini di flussi di finanziamenti sia di piccole e medie imprese che guardano con interesse a questi strumenti alternativi al credito bancario. Gli ultimi 18 mesi sono stati anche un periodo di grandi cambiamenti, con alcuni segmenti prima dominanti che hanno perso terreno e altri che hanno registrato un incremento a due cifre. Ma nonostante la forte crescita, il mercato italiano appare ancora in ritardo rispetto ai principali Paesi europei e sono poche le Pmi che si affidano alla finanza alternativa per reperire capitali: appena 1.800, tralasciando le aziende individuali, l’1% delle piccole e medie imprese che potrebbero utilizzarli. Sono alcuni dei risultati del Quaderno di ricerca “La finanza alternativa per le PMI in Italia” degli Osservatori Entrepreneurship & Finance della School of Management del Politecnico di Milano, presentato oggi. Analizzato il mercato degli strumenti alternativi al credito bancario in Italia, indagando il contributo che Minibond, Crowdfunding, Invoice Trading, Direct Lending, ICO e Private Equity e Venture Capital hanno dato alla raccolta di risorse finanziarie per le PMI italiane negli ultimi 10 anni, con dati aggiornati al 30 giugno.
I mini-bond si sono imposti come il primo canale di finanziamento alternativo, col 51% del mercato e 1,840 miliardi di finanziamenti generati, al secondo posto il private equity e venture capital, che ha perso la prima posizione, passando al 22% del mercato. Netta anche la crescita dell’Invoice Trading, lo strumento più utilizzato in assoluto (adottato da 900 PMI), capace di guadagnare undici punti percentuali (dal 5% al 16%) e di produrre un flusso di finanziamenti quasi pari a quello dell’ultimo decennio (580,8 milioni di euro su 612,2). Ancora minoritari ma in crescita il Crowdfunding (dall’1% al 3%) e le ICO (dall’1% al 2%), marginale il Direct Lending (da 0,2% a 0,6%).
‘La finanza alternativa ha generato vantaggi tangibili nei tempi e costi di accesso al capitale e ha offerto nuove possibilità di aumentare la propria competitività e visibilità sul mercato – afferma Giancarlo Giudici, direttore scientifico degli Osservatori Entrepreneurship & Finance della School of Management del Politecnico di Milano -. Il divario con gli altri Paesi europei dimostra che ci sono buoni spazi di crescita, ma finora l’Italia ha scontato un ritardo culturale e di competenze che ha frenato le Pmi. Per cogliere appieno queste opportunità, bisogna puntare su azioni che migliorino le competenze finanziarie di cittadini e imprenditori, che spesso non conoscono queste soluzioni e non sanno come sfruttarle’.
I mini-bond nell’ultimo anno e mezzo si sono imposti come il primo canale alternativo col 51% del mercato (contro il 28% del periodo 2008-2018), generando 1,840 miliardi di finanziamenti, oltre la metà dei flussi generati dal 2008 in poi.
Le Pmi italiane che hanno emesso mini-bond fino al 30 giugno 2018 sono state 221 (36 delle quali si sono affacciate sul mercato per la prima volta quest’anno), per un valore di 3,545 miliardi di euro suddivisi in 335 emissioni. Più di metà dei finanziamenti è stata raccolta negli ultimi 18 mesi: 1,527 miliardi nel 2017 e 313 milioni nel primo semestre del 2018. La cedola media dei mini-bond emessi da Pmi è pari al 5,3%, la scadenza si attesta mediamente a 4,9 anni. ‘Quello dei minibond è un mercato destinato a crescere ancora nel breve termine, spinto dal crescente interesse di PMI e investitori – analizza Giudici -. E’ opportuno però che gli investitori continuino a essere soggetti professionali e ci sia un maggior impegno da parte di assicurazioni e casse di previdenza’.
Negli ultimi mesi ha registrato un buon tasso di crescita (dall’1 al 3%) anche l’equity crowdfunding, trainato dall’estensione a tutte le PMI di questa opportunità, inizialmente riservata a startup e PMI innovative.
Fino al 30 giugno 2018 erano 214 le aziende italiane che hanno provato a raccogliere capitale di rischio sulle piattaforme Internet autorizzate, assicurandosi attraverso 134 campagne chiuse con successo investimenti pari a 33,3 milioni di euro (11,6 milioni nel 2017 e 14,2 nel primo semestre del 2018). Si tratta in gran parte di piccole startup, ma si prevede un buon incremento per il futuro con le operazioni in ambito real estate e le campagne che saranno lanciate da PMI mature. ‘La crescita va sostenuta informando adeguatamente i cittadini – rileva Giudici -: ad oggi, infatti, gli italiani che hanno sottoscritto una campagna di equity crowdfunding sono appena lo 0,1% della popolazione’.
L’ultimo biennio ha visto una crescita decisa anche dei prestiti erogati alle PMI dalle piattaforme di lending: su un totale di 60,3 milioni di euro prestati a circa 250 PMI italiane (escludendo le ditte individuali), 53,9 sono stati concessi nel periodo compreso fra il 1 gennaio 2017 e il 30 giugno 2018. Anche questo mercato è destinato a crescere, grazie all’afflusso annunciato di capitali da investitori professionali che si affiancheranno ai piccoli risparmiatori di Internet.
Completa il quadro il reward-based crowdfunding. Si tratta di campagne di piccolo importo (condotte soprattutto su portali USA come Kickstarter e Indiegogo) che imprese italiane in fase di avvio hanno condotto per raccogliere denaro offrendo in cambio prodotti e ricompense non monetarie. La ricerca ha stimato in 7 milioni di euro i finanziamenti raccolti in questo modo, senza prospettive di crescita rilevante.
Netto anche l’aumento dell’Invoice Trading (cessione di una fattura commerciale in cambio di un anticipo in denaro attraverso una piattaforma online), lo strumento più utilizzato in assoluto: è stato adottato da 900 PMI e ha guadagnato negli ultimi 18 mesi undici punti percentuali (dal 5% al 16%), divenendo il terzo segmento del mercato e producendo un flusso di finanziamenti quasi pari a quello dell’ultimo decennio (580,8 milioni di euro su 612,2). ‘E’ uno dei comparti che sta crescendo maggiormente e l’unico fra quelli esaminati che regge il confronto in Europa – commenta Giudici -. Va però notato che il ciclo di investimento in questo ambito è molto più corto, trattandosi della cessione a investitori professionali di fatture commerciali a scadenza mediamente fra i 3 e i 4 mesi, che vengono spesso utilizzate come sottostante per operazioni di cartolarizzazione’. ‘Molte delle risorse conteggiate sono quindi state reinvestite più volte nell’arco del periodo, e le stesse imprese hanno ceduto più fatture nel tempo’, sottolinea.
Il Direct Lending (credito fornito da soggetti non bancari attraverso prestiti diretti è il segmento meno sviluppato (da 0,2% a 0,6%), con un numero marginale di PMI che hanno ottenuto un prestito da fondi specializzati, per un importo intorno ai 20 milioni di euro. Ci sono spazi per una crescita futura, ma è probabile che la maggior parte dei capitali sia destinata a finanziare le imprese medio-grandi.
Il grande interesse cresciuto nel 2017 e nel 2018 attorno alle criptovalute e alla tecnologia blockchain ha spinto diversi imprenditori a lanciarsi nel mercato delle Initial Coin Offerings (ICOs, passate dall’1 al 2% del mercato), che raccolgono capitali su Internet offrendo in sottoscrizione token digitali e disintermediando completamente piattaforme terze e circuiti di pagamento tradizionali. La ricerca ha censito 16 ICO promosse entro giugno da team costituiti per più del 50% da italiani, per un totale di 150 milioni di euro, di cui circa 80 riconducibili a PMI italiane già esistenti o di nuova costituzione.
‘Il mercato delle ICO si trova ancora a uno stato embrionale e il fatto che i token siano spesso scambiati su piattaforme specializzate rende labile il confine fra le ICO e la sottoscrizione di investimenti finanziari – afferma Giudici -. Sicuramente la normativa dovrà provvedere al più presto a definire un quadro di riferimento per consentire lo sviluppo ‘sano’ di questa prassi, potenzialmente molto interessante per le PMI, e industrializzarne i processi’.
L’ultimo comparto analizzato sono gli investimenti effettuati da soggetti professionali nel campo del private equity e del venture capital, che sottoscrivono capitale di rischio di imprese non quotate con l’obiettivo di contribuire alla loro crescita per poi ottenere una plusvalenza al momento dell’exit. Questo segmento ha perso la prima posizione, passando dal 59% del mercato nel periodo 2008-2018 all’attuale 22%. Benchè attivo da tempo, il mercato italiano del private equity e del venture capital è ancora sotto-dimensionato rispetto alla situazione di Regno Unito, Germania, Francia. Considerando soltanto le operazioni di early stage e di expansion, dal 2008 al giugno 2018 sono state mobilizzate risorse in Italia per 970 milioni di euro nell’early stage e 6,5 miliardi nell’expansion. Negli ultimi 18 mesi, invece, i flussi sono stati pari a 229 milioni per la prima voce (su 213 progetti) e di 568 per la seconda (per 69 aziende).
(ITALPRESS).

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