ONORE A SERGIO MARCHIONNE

Non volevo scrivere nulla su Sergio Marchionne, io che ho condiviso e sostenuto concretamente il progetto che lo ha reso vincente, e che ha permesso ad almeno 150 mila lavoratori impegnati tra diretti e di indotto Fca, di continuare ad avere un impiego, ed alla Fabbrica italiana automobili, di avere ancora un posto di rilievo nel gotha dell’automotive mondiale. Non volevo, io stesso, unirmi al fiume in piena di questi giorni di commemorazioni che immancabilmente, come avviene in simili circostanze, sono inquinate da banalità ed ipocrisie. Ma sono stato mosso da un sentimento di fastidio, leggendo e ascoltando un esercito di opinion leaders, politici ed imprenditori, che nelle difficoltà iniziali di conduzione dell’impresa di ricostruzione della Fiat, hanno partecipato all’offensiva di screditamento del progetto, o hanno fatto finta di nulla per quello che stava accadendo. Era il tempo di quando il fior fiore della classe dirigente italiana, con il codazzo lunghissimo della stampa scritta e parlata, era impegnata a descrivere le idee di Marchionne come eresie, quando non dense di imbrogli.

Infatti lo accusarono di aver proposto un piano industriale fitto di falsità, che il crollo della azienda fosse prossima, in assenza di modelli di auto da proporre, che si stava svendendo la Fiat agli americani, che si stavano schiavizzando i lavoratori. Mano mano che si compivano positivamente i vari step del progetto industriale, subito i sindacalisti antagonisti chiosavano negativamente gli eventi, con l’ausilio dello sciame dei soliti vari soggetti dell’italietta: imprenditori invidiosi e con la coda di paglia, politici ideologizzati ed opportunisti, banchieri irritati dalla utilizzazione di capitali finanziari d’oltre oceano, editori e giornalisti delle relative aree politiche e d’interesse. Però, va ricordato, che se fuori della azienda c’era una grande avversione iniziale, nelle fabbriche Fiat, invece, il consenso era grande. In ogni opificio, i referendum furono tutti vinti da chi voleva cambiare: niente più cassa integrazione, niente più preoccupazione per il proprio posto di lavoro, niente più scioperi pretestuosi. Si manifestò anche una minoranza sindacale: era quella che non voleva cambiare la vecchia organizzazione del lavoro di altre epoche, inadatta alle produzioni robotizzate, e che non intendeva dare garanzia di tregua sindacale, in presenza di un contratto stipulato tra l’azienda è i lavoratori.

Due questioni superate da tempi immemorabili nei Paesi industrializzati. Si è anche detto che Sergio Marchionne fosse un despota, un cinico privo di umanità. Ma invece noi sappiamo che chi è privo di umanità, non è mai in grado di progettare ed eseguire grandi opere, perché gli importanti progetti ottengono esiti positivi, alla sola condizione del coinvolgimento emozionale di tantissime altre persone, che entrano in sintonia per cambiare le cose, in una dinamica e clima di grande umanità. Ecco perché dico nel lutto “Onore a Sergio Marchionne”.

Raffaele Bonanni

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